uno dei miei ricordi più cari, uno dei più confortevoli, dove ritornare per avere un senso di pace, di bontà, di riposo, di calma e di quiete, è legato all’antico e nobile gesto di fare il pane. Come in un cortometraggio ben fatto, ricordo il momento: la scena apre sull’aria frizzante del mattino a Monte Marcello, sul piccolo carruggio per poi entrare nella cucina dell’osteria Marcellino pane e vino, dove incontra il protagonista, Alessandro Mordini, lo chef, l’amico e in questo il fornaio.
Il tempo è… diverso, si diverso.
È difficile spiegare come accadesse ma il tempo scorreva in modo differente in quei lunedì passati a fare il pane. Il tempo umano, il tempo moderno, scandito dall’orologio, in quei lunedì si arrestava, scompariva, soccombeva come svuotato sotto la sostanza e la presenza del tempo del pane.
Il tempo del pane è un tempo che sa di passato, vestito di saggezza, un tempo elegante fatto di attese, di silenzi, di pazienza. Un tempo fatto per osservare, ascoltare, imparare.
Fare il pane per Alessandro e, oggi grazie a lui anche per me, significa partire dalla scelta della farina, farina che deve essere viva per poter nutrire la pasta madre, il lievito che farà crescere il pane. Alessandro aveva scelto la farina di Floriddia, un’azienda Agricola sulla via di Volterra in Toscana, che coltiva i suoi grani selezionando anche le varietà più antiche e li macina in un mulino a pietra. Dopo aver scelto la farina, si deve iniziare ad allevare la pasta madre, quella di Alessandro era nata a Monte Marcello, dalla farina di Floriddia, dalle sue mani e dai lieviti che aveva trovato li, in quella cucina. Fare il pane con la pasta madre ha qualcosa di sacro nella gestualità, nel rispetto che dobbiamo avere per la materia prima, che è viva… è raro, per chi come me cucina, avere a che fare con qualcosa di vivo.